I FRUTTI DELL’ODIO in L’ULTIMO BAR A SINISTRA

L’orto di Elvira è delizioso. I rami di un enorme susino spezzettano l’ombra che cade su un tavolino rotondo di metallo laccato bianco. Accanto due comode poltrone in vimini riposano nell’aria dolce di fine marzo.

«Tra un po’ ci sarà la fioritura. Sentirai che profumo! È un bravo albero, da tanti di quei frutti! Ci faccio la marmellata.»

Estrae un thermos da una grossa cesta da picnik.

«A volte vengo qui anche solo a leggere il giornale», continua l’adorabile nonnina. «Lo fa sempre anche Rajesh. Quando finisce di lavorare la terra passa la staccionata. Spesso mi lascia dei fiori. È così gentile. Sai io non ho figli e la compagnia mi fa tanto piacere.»

«C’è una tale pace qui, sembra uno di quei giardini nascosti delle fiabe», rispondo.

«Non lasciarti ingannare dall’apparenza, cara. L’orto è una cosa da vecchi e i vecchi sono pieni di rancore.»

Ho sempre avuto un’idea romantica della terza età. Forse la maturità negli esseri umani non segue le stesse regole dei vegetali. La saggezza non è qualcosa che sboccia con il tempo.

«Succedono strane cose», bisbiglia Elvira.

«Tipo!?» Domando.

«Ssssssh!» si porta l’indice alle labbra poi riprende a sussurrare. «A volte ho la sensazione che qualcuno mi osservi. Ad alcuni spariscono le verdure. Hanno rubato il mio nano da giardino, ce l’avevo da più di cinquant’anni, era vecchio, sbiadito dal sole ma era un ricordo.» Sembra preoccupata. Controlla che non ci sia nessuno nei paraggi prima di riprendere a parlare. «E poi ci sono quelle buche…» dice in un sospiro. «Grosse come le fosse al cimitero, qualcuno le scava nella notte.»…. SE VOLETE LEGGERE IL RESTO VI ASPETTO:

VENERDI’ 16 NOVEMBRE – 21.30 -
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