I segreti dello scrittore..

 


Destinazione Como, in Piazza Cavour.

“Però non so dove sia Pazza Cavour” dice lui, lo scrittore.

“Non importa, la troviamo!” dico io, la tassista.

Deve presentare il suo ultimo romanzo, "La  prima notte", al Festival Parolario.

Lo scrittore è Raul Montanari, “certo – dico io – il famoso giallista”

“Veramente ho scritto un solo giallo, su quindici libri pubblicati”

Che figura! Ma lui puntualizza: “il che non esime la critica dal definirmi giallista.”

Ok, se lo dicono i giornali vuol dire che è vero, infondo la realtà è una percezione soggettiva in buona parte contaminata dai media.

 

Ha lo sguardo cupo e si raccomanda di guidare piano. Credo non si fidi della mia guida! Mi da’ anche qualche consiglio: “ecco ora rientra e guida piano”, ma lo fa senza arroganza, a tratti pare quasi timido, lo fa con il piglio di chi è abituato ad insegnare, perché Raul Montanari è docente di scrittura creativa, ovvero Materiale perfetto per il mio blog! Lo scrittore mi confessa come scrivere un buon romanzo:

 

si può insegnare a scrivere!?

Tutto si può insegnare, la tecnica è importante. Per esempio, uno dei primi compiti che assegno ai miei alunni consiste nello scrivere un racconto da due diversi punti di vista. La descrizione, fondamentale per la scrittura, è intimamente legata al punto di vista. Per esempio, mentre stavo scrivendo “Chiudi gli occhi”, per descrivere il ritrovamento di un cadavere scelsi il punto di vista di una poiana, planava verso il basso, quasi a sfiorare il corpo, si sollevava in cielo e la sua visione aerea rendeva la scena crudele. Il punto di vista del solito poliziotto sarebbe stato meno efficace, quasi banale. Infondo è stata la tecnica ad ispirarmi l’idea.

 

A volte nei tuoi libri si parla di sesso. Secondo te il sesso cattura l’attenzione? Fa vendere più copie?

Nessun romanzo erotico è mai stato in cima alle classifiche. I libri più amati sono quelli con trame piene di guai! Prendiamo un esempio classico, I Promessi Sposi: Renzo e Lucia vorrebbero sposarsi, Manzoni crea mille ostacoli, problemi, impedimenti.

La struttura del noir in particolare è uno strumento straordinario, poiché usa il pedale narrativo del mistero, che lega il lettore alla pagina.

 

La piazza è incorniciata da palazzi neoclassici che ospitano alberghi e pizzerie, i traghetti tornano dal giro panoramico, lo scrittore parla nel microfono dei personaggi de “La prima notte”. Anche questo momento mi sembra una lezione. Il pubblico è attento, in parte sta in piedi perché le sedie non bastano.

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il giornale pag 4_6 agosto 2008Racconti «passeggeri» Le storie dei taxi finiscono in un blog

Ascolta le confessioni dallo specchietto retrovisore Raffaella. Il turista russo che le chiede dove può trovare un locale a luci rosse, l’anziano che ha un disperato bisogno di chiacchierare e la squillo che le racconta dei suoi clienti e di quel padre di famiglia che dopo ogni amplesso, insiste per mostrarle le foto dei suoi figli.
Ascolta le storie di una Milano che ama confessarsi davanti ad un’estranea che non rivedrà mai più Raffaella, e le riscrive sul suo blog. Si chiama psicotaxi e da ottobre ha già collezionato 15mila visite. «Un giorno mi sono resa conto di quante “cose pazze” avessi ascoltato dal 2002 e così mi è venuta l’idea di raccontarle, a modo mio». Si siede davanti al suo pc la mattina, la sera tardi, o prima di pranzo: «la verità è che ho una vita molto disordinata e quindi scrivo quando mi capita. Perché questo non sarà il lavoro più bello del mondo, ma ti rende libera». Ha cominciato «per guadagnare qualche soldo, mentre studiavo filosofia, solo nel weekend, con la macchina di papà». Un’Elba Innocenti su cui ha lasciato un pezzo di cuore, «perché era indistruttibile e perché è stata la mia prima auto, quella della prima corsa». Ora siede davanti al volante di una Megane Chenic: «Perché non hai scelto una Ferrari? – mi ha chiesto un bimbo – Semplice: le Ferrari devono essere rosse, i taxi invece bianchi».
Fa il turno «sette spezzato» di solito, ma ultimamente «comincio un po’ più tardi e finisco verso le 2: è atht_jpg.phprischioso ma più divertente: capita di incontrare i clienti più strani». «Quelli della notte», perché volendo dividerli in categorie, «bisogna guardare alla fascia oraria». I più inquietanti? «Il lunedì notte, ma non chiedermi il motivo». I più comuni? «I manager: salgono a Linate e basta uno sguardo per capire che sono figli della Milano che produce: conoscono bene i prezzi e non si lamentano mai». I più frustrati? «A qualsiasi ora del giorno, tutti i giorni: sembra che questa città ne produca in quantità industriale». E però lei non ci litiga mai. L’unica eccezione: «Una signora completamente rifatta – gli zigomi gonfi e la pelle liscia liscia – sale sul mio taxi a San Babila e mi insulta per tutta la corsa». Da qui l’idea di una piccola rivincita: «Dopo che è scesa le ho detto: “Anche se cambi le piastrelle del bagno, resta sempre un cesso!”».
Trentatré anni, alla passione per i noir e la scrittura alterna la sua attività di sindacalista iniziata come fondatrice del sindacato autonomo dei tassisti professionisti. Da sette anni davanti al volante, e da un paio tornata sui libri per imparare il cinese. «Appena mi capita un cliente con gli occhi a mandorla cerco di allenarmi: non sa che facce fanno quando sentono parlare la loro lingua». Altre volte però, di stucco rimane Raffaella: «È sempre una sorpresa quando qualche cliente mi riconosce e dice di essere un mio lettore». Eppure continuano a raccontare: dei loro problemi, dei loro sogni e di una Milano che cambia, di corsa in corsa.

RITA BALESTRIERO

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"il tassista non è il pezzo della macchina che viene dopo il volante"


Cinque del pomeriggio, Malpensa. Tre vigili si avvicinano ai taxi fermi davanti alla zona arrivi del terminal 1. La richiesta: «Dovete esporre la vetrofania con le tariffe fisse dagli aeroporti alla città e viceversa». Così vuole l’accordo firmato con la Regione. Due le alternative. La prima: andarsene. La seconda: rassegnarsi a pagare una multa pari a 70 euro.
Non c’è due senza tre, e infatti i tassisti che ieri erano in servizio presso lo scalo varesino hanno optato per una soluzione alternativa: scioperare. E hanno incrociato le braccia: seduti davanti al volante delle loro auto bianche, ma determinati a non accettare i clienti appena atterrati.
La provocazione di Raffaella Piccinni, fondatrice del Sindacato autonomo dei tassisti professionisti: «Il tassista non è il pezzo dell’auto che viene dopo il volante». L’accusa: «Non abbiamo ricevuto ancora adeguate informazioni, quindi, nessuno ci può imporre di esporle».
All’origine della polemica, il mancato adeguamento dei prezzi delle corse (pari circa al 4 per cento) previsto dall’ultimo accordo siglato con l’assessore regionale alle Infrastrutture e ai trasporti Raffaele Cattaneo. Prezzi che si riferiscono esclusivamente alle tariffe fisse delle tratte che vanno dalla città e dalla fiera all’aeroporto e viceversa. Ecco i costi sotto accusa: Milano-Malpensa 70 euro, Malpensa-Linate 85 euro, Rho-Malpensa 55 euro, Linate-Fiera 40 euro, stabiliti dal tavolo del 22 giugno 2007 indetto per recepire il decreto Bersani.
«Alcuni clienti si sono spazientiti – ammette uno dei cinquanta tassisti che ieri ha partecipato allo sciopero spontaneo – ma noi siamo determinati a continuare in modo compatto». Fino a quando? «Anche a oltranza, o almeno, finché i vigili non se ne saranno andati». Con buona pace dei clienti che dovranno sopportare.
RITA BALESTRIERO


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Tariffa fissa, a Malpensa tensione tra vigili e tassisti

Lo aveva chiesto la Regione nei giorni scorsi e da ieri è entrata in azione la polizia contro i tassisti che non applicano le tariffe fisse. All’ aeroporto di Malpensa, a metà pomeriggio, la polizia municipale ha effettuato una serie di controlli alle file di taxi incolonnati per verificare che sui vetri delle auto, come richiesto dalla legge, fossero esposti gli adesivi con scritte le informazioni sui prezzi fissi. Quando hanno cercato di multare o allontanare coloro che ne erano sprovvisti, gli autisti delle auto bianche hanno avuto una sorta di reazione spontanea. Per tre ore si sono rifiutati di caricare passeggeri, creando disagi e lunghe code. «Abbiamo fatto una mezza rivoluzione – dice uno dei tassisti che ha partecipato alla protesta – e i vigili si sono fermati». I tassisti erano una cinquantina, tutti concordi e uniti nel blocco del servizio. «Per una questione di opportunità – spiegano i vigili di Malpensa – abbiamo preferito non applicare le multe, che sarebbero state di 70 euro. Per il momento ci siamo limitati a prendere il numero di targa delle auto sprovviste di vetrofania, più avanti decideremo se applicare le contravvenzioni». Le tariffe fisse riguardano in questo periodo le tratte tra Milano-Malpensa e Linate-Malpensa. Il 2 agosto scorso i sindacati avevano deciso di sfidare la Regione, chiedendo ai guidatori di disapplicare i prezzi fissi e di far partire il tassametro. Raffaele Cattaneo, assessore regionale alle Infrastrutture, aveva dichiarato che non rispettarle è «un illecito amministrativo: le tariffe sono in vigore in forza di una nostra delibera, non si possono disapplicare come si spegnesse un interruttore. Chi la viola rischia sanzioni, anche la revoca della licenza, se recidivo». Quella di ieri è stata una manifestazione del tutto spontanea, fanno sapere i sindacati della categoria unita, e non è stata in alcun modo coordinata dalle principali sigle. Raffaella Piccinni, del SITP, sindacato autonomo assisti, tuttavia ricorda che «i tassisti non hanno avuto notizie adeguate relativamente all’ applicazione delle vetrofanie. Solo alcuni sono stati avvertiti tramite radio taxi, che però non tutti hanno. Se faranno delle multe noi faremo ricorso. Tuttavia il problema resta: siamo sempre stati contrari alla tariffa fissa perché è antieconomica e obbliga i tassisti a lavorare sottocosto».
- LUCA DE VITO

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DOMANI, 8 AGOSTO, DALLE 8.45 ALLE 9.30,

SARO’ A TELELOMBARDIA

SI PARLERA’ DEL SETTORE TAXI

CON PARTICOLARE RIFERIMETO ALLE TARIFFE.

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COMITATO ANTI-CENTRALE

Oggi “Il Giornale” mi ha dedicato un paginone enorme e allora ne approfitto per compiere una buona azione spostando l’attenzione su un’iniziativa in cui credo.

Ferriere è un paese straordinario, sull’Appennino tosco emiliano, ora è a rischio perché il Sindaco vuole costruirci una centrale a biomassa. Non fatevi ingannare dalla parola biomassa. I furbi inventano neologismi radical chic per far sembrare la merda buona! Le centrali a biomassa radano al suolo l’ambiente e incrementano l’effetto serra: buttano nell’atmosfera tonnellate di CO2, sono alimentate a legna e incrementano il processo di disboscamento. I cittadini di Ferriere si sono organizzati in un Comitato Anti Centrale.


ferriereFerriere mi ha ispirato il racconto qui sotto, è il paese nel quale è cresciuta mia madre. Spesso mi sono chiesta cosa significhi nascere in un piccolo paese. Probabilemte non è desiderabile passarci tutta la vita ma in qualche modo senti che una parte di te gli appartiene, non necessariamente la migliore, dura, tenace, generosa, genuina, ottusa, autentica ma sufficientemente orgogliosa da rifiutare ogni banale retorica. Il luogo fisico che si fa luogo mentale. Contribuisce al tuo equilibrio, al quale devi una parte di ciò che sei, immobile, sicura, non la celebri, non la giudichi, come qualcosa che ami anche con i suoi difetti. Qualcosa ti spinge ad andare ma anche a tornare. Lontana e vicina, la ami e la respingi. Voci e colori che si fissano nella memoria, nel cuore, è la parte di te sempre uguale a se stessa, volgare, autentica e sincera, da osteria.


Ferriere però non è un paese per vecchi! qui i giovani non scappano perché disoccupati senza lavoro. I giovani della pro loco sono ingegneri, imprenditori, qui se hai bisogno di un amico lo trovi anche alle tre di notte, è gente che guarda avanti senza piangersi addosso, cresciuta nella cultura del lavoro, dura, come il clima di queste parti. Ha costruito nella Valle una vita realmente a misura d’uomo. Nel tempo libero organizzano reive e feste in quota che attirano giovani da tutta la regione, come la festa dei deltaplani, o per gli appassionati di equitazione. Per le saghe l’intero paese si chiude al traffico per riempirsi di gente. Il coro , per lo più formato da giovani, mantiene viva la tradizione di canti popolari. Il senso di rispetto e di appartenenza al territorio e alle tradizioni non è retorico ma reale, qui non c’è bisogno di una centrale. 


Ferriere è un esempio di civiltà e di rispetto del territorio e delle sue tradizioni, ma oggi è a rischio per via di una centrale che nessuno vuole, se non interessi particolaristici e idioti, si idioti! perchè le centrali a biomassa sono inutili specchietti per le allodole, nulla hanno a che fare con una vera politica energetica, anzi incrementano la nostra dipendenza dal petrolio perchè rivelano l’inefficienza di energie fintamente innovative. Come a dire che per liberarci dal petrolio dovremmo disboscare. Mi domando quale rispetto abbia questo Sindaco per il paese che dovrebbe amministrare e per quanti, fidandosi, gli hanno dato il proprio voto.


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il provinciale_apoditticoIL PROVINCIALE

di Raffaella Piccinni

  

Panezio è un paese raccolto tra la Bassa e l’Appennino tosco-emiliano. Panezio è per me il principio, il confine estremo della mia memoria, è un’infanzia solare, è il luogo dove imparai ad andare in bicicletta, è la sottana profumata di mia madre, è l’immagine della vergine nella parrocchia.

   

Lasciai il mio paese per andare a studiare a Parma, prima in collegio, poi all’università.

   

Ricordo il timore con cui lasciai il mio piccolo mondo. Ero come la prima creatura di Dio che veniva cacciata dal paradiso terrestre. Quale peccato avevo commesso? Ne avevo colti di frutti dagli alberi! In maggio i ciliegi erano ricchi e il melo dell’orto dava frutti piccoli, duri, amari ma la natura è un meccanismo perfetto, anche le mele avevano un senso: proiettili inesorabili per il camion del signor Giuseppe, che alle diciassette di ogni giorno di primavera tornava dalla cantoniera. Eppure per quei peccati avevo già espiato attraverso le mani di mio padre.

   

L’estate volgeva al termine, gli insetti abbandonavano i campi ed anche io come loro avrei perduto il mio regno per andare in collegio.

   

Quando si è bambini l’autunno equivale alla morte, alla fine. Io appunto amavo soprattutto l’estate, anche quella più calda e più dura. Alle dodici si pranzava nell’orto tra i pesanti piatti di ceramica bianca, tra i cerchi di Lambrusco che mio padre lasciava sulla tovaglia, tra le chiacchiere di zia Marilena, tra gli sguardi muti del nonno, fatti di mille profondissime rughe che, come i cerchi delle querce, ne testimoniavano l’età.

 

Nel primo pomeriggio andavo al fiume con i compagni a pescare le rane. Quando tornavo mamma urlava come una pazza. Ogni sera mi pettinavo i capelli con le dita e mi toglievo la polvere dai pantaloni. Ogni sera pensavo che sarebbe stata quella giusta! Quella in cui non si sarebbe accorta che ero stato al fiume o che mi ero rotolato al suolo. Tutto assolutamente inutile! Mamma non capiva che almeno tre giorni la settimana ero un soldato e che la guerra è fatta di trincee. Ma infondo anche quell’inesorabile ispezione al guanto bianco faceva parte del gioco. Tutto lì il paradiso perduto. Compreso tra la cucina, l’orto, il bosco e il fiume. Oggi, come nei primi giorni di quella costosa galera, il ricordo di Panezio ancora mi sostiene.


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Recensioni…

Annamaria Fassio non ha bisogno di presentazione, giallista navigata, ha pubblicato numerosi romanzi per la collana i Gialli Mondadori. Su MilanoNera di luglio (a pagine 14) ho recensito il suo ultimo giallo. L’unica pecca di questo libro: la copertina non gli rende giustizia ma è un opinione del tutto personale.


fassio_copertina_g2Annamaria Fassio
I GIORNI DEL MINOTAURO
Fratelli Frilli Editore
237 pagine – 10,50 euro

C’è qualcosa di feroce in questo romanzo che inizia da una fine, dalla morte della sua protagonista. Vera Malan è una scrittrice di successo, ormai anziana vive nella sua villa a Belvedere, un piccolo paese di provincia, il luogo ideale dove districare un mistero. E’ sola Vera, le uniche persone che ha intorno sono i domestici che le fanno compagnia, come Vanessa, una giovane adolescente inquieta. Vera ha dedicato la sua vita al successo, amata dai lettori, odiata dalla figlia, una donna fragile e frustrata, segnata dal passato di tossicodipendenza e dai ricoveri psichiatrici, più violenti di un pugno nello stomaco. Voluti dalla madre quando la figlia viene ritrovata mezza nuda in un appartamento squallido, “fatta come un cocco”, così dicono i suoi due bambini, ai quali la donna non ha risparmiato la scena. La figlia in manicomio, i nipoti con la domestica, Vera viaggia, lavora, scrive. Una vita intensa che l’editore vuole raccontare in una biografia che affida alla nipote. La realtà però non è mai quella che sembra. Cercare nei ricordi rimossi sarà come scavare nel cestino dei rifiuti, dov’è nascosto, insieme al dolore di questa famiglia, il mistero di un delitto irrisolto.
Raffaella Piccinni

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Pubblico il mio nuovo racconto uscito su MilanoNERA (Taxi Blues è a pag. 8), nuovo si fa per dire! è uscito all’inizio di luglio, credo quindi che non lo troviate più in libreria… potete leggerlo on line.

Questa volta ho raccontato l’esperienza , drammattica e comica, accaduta ad un collega.

Per necessità un giornale ha bisogno di misurare le battute, quindi non è facile racchiudere in uno spazio ristretto una storia di questo tipo, dando un senso ai personaggi, articolando una micro trama, con un inizio e una fine, eppure è un esercizio straordinario.

Hemingway  scrisse il racconto più breve della storia della letteratura: “vendo scarpe da bambino mai usate.”, lo diceva ridendo perché era solo una frase, apparentemente senza senso, è questa la grandezza della scrittura, la sua capacità d’essere profonda ed essenziale.

Sparano sul cliente del taxi
(dalla Rubrica  "Taxi Blues" di Raffaella Piccinni – pubblicato sulla rivista  MilanoNera – luglio 2008)


La Polizia non credeva che il tassista non sapesse nulla di quelle tre pallottole conficcate nel corpo del  cliente. Sembra l’inizio di un giallo, invece è la realtà che si prende una rivincita sulla fantasia. Sembra immaginata questa storia che ha per protagonista tre pallottole e un panino.


La moglie l’ha messo a dieta. Gli conta le calorie, una dittatura alimentare fondata su un indice di cibi proibiti, che fanno male! Carne, scatolette, burro, merendine chimiche avvolte nella plastica, cioccolatini: via tutto! Ma quel giorno avevano un accordo, dentro il panino integrale lui avrebbe potuto mettere tutto ciò che voleva, attingendo liberamente dalla lista dei cibi consentiti: maccheroni, aveva pensato in un primo momento, infine si gettò sulla cosa più grassa della “wife list”. Formaggio, “solo fresco”. Roba da chiedere il divorzio! Fu così che si fece prendere la mano: la sua pausa pranzo prese l’aspetto di una valigia su cui devi sederti per riuscire a chiuderla.

A mezzogiorno, mentre sta per addentare il boccone proibito un uomo entra di scatto sul suo taxi, ha il respiro affannoso, è talmente pallido che sembra di marmo, sanguina: “Mi porti all’ospedale più vicino”. Niente Panico! il tassista si getta il panino in tasca e parte a razzo. Sente l’odore del sangue mischiarsi a quello del formaggio.

 

I Poliziotti li ha sempre visti con la divisa in ordine ma questo indossa scarpe da ginnastica, ha la faccia butterata e sembra un criminale anche se tutti lo chiamano ‘dottore’.

“Quindi gli avevano già sparato quando è salito sul suo taxi. Quel uomo aveva appena fatto una rapina, un taxi sembra un ottimo palo”.

Il tassista è stanco, ha fame, non ha mangiato niente tutto il giorno, se fosse un film chiederebbe un avvocato e invece chiede un panino.

“Qui non facciamo panini!”

“Non c’è problema, ho il mio pranzo”: estrae il panino dalla tasca, si rivolge al commissario, ha la bocca piena, mangia soddisfatto, sembra Bad Spencer: “ma le sembra normale che uno che partecipa ad una rapina pianifichi anche la colazione al sacco!”



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Pensavo di farne una sorta d’indovinello!! Ma ho cambiato idea! In antichità la Cina era definita “il paese toccato dai 4 mari”. Era ed è, una pluralità di etnie, spesso in guerra (oggi l’etnia dominante, quella di Pechino, è l’etnia Han).为 è un ideogramma semplificato, la lingua cinese è in evoluzione, ma in antichità voleva dire “essere”. Questo proverbio si traduce “TUTTO IL MONDO E’LA MIA CASA" vuol dire che occorre superare le differenze, essere tolleranti ed accettare la diversità, che bisogna essere “di larghe vedute”, che altre culture non ci rendono più poveri ma più ricchi. Anche se mi piace pensare (ma senza pretese!! in modo del tutto personale) che vivo in ogni luogo della città.

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Non capita tutti i giorni di poter parlare con un matematico di Teologia. Sono talmente fiera di questa mail che ho deciso di farne un post


premessa: la mia domanda era questa


cara raffaella,

 grazie dell’apprezzamento e della domanda, che confesso mi sembra un po’ vaga. da un lato, uguagliare pensabile e possibile puo’ essere sensato per definizione. ma il salto a dio non mi sembra giustificato: in fondo, se "pensabile" significa "non contraddittorio", gia’ l’onnipotenza e l’onniscienza sono contraddittorie (col vecchio argomento che considera le quattro possibilità relative al fatto che dio (non) sappia e/o (non) voglia eliminare il male, che portano tutte a contraddizione). dunque, dio non e’ affatto pensabile: questo mi sembra un limite della teologia, piu’ che dell’ateismo, che si limita a farlo notare…


pgo

(Piergiorgio Odifreddi)

 

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