Teresa Monestiroli
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(27 dicembre 2007) – La Repubblica
NASCE IL SINDACATO ROSA PER TUTELARE
Parola D’ordine sicurezza. La invocano a gran voce le tassiste dell’Adit, Associazione Italiana Donne Tassiste, stanche di rischiare ogni giorno, consapevoli dei maggiori pericoli a cui una donna va incontro svolgendo una professione ancora fortemente maschile. Ma, proprio per questo, per contrastare la paura di subire rapine e violenze che assale soprattutto durante i turni notturni o quando si guida in certi quartieri , alcune tassiste hanno dato vita a un sindacato “rosa”, nato come costola del Sitp, il Sindacato Italiano Tassisti Professionisti, e presieduto da Raffaella Piccinni, Segretario Generale del Sitp. Giovane, milanese e determinata, la Piccinni (nella foto), svolge questo mestiere dal 2007 e ha sempre avvertito il bisogno di tutelare specificatamente la sua Categoria. “In molti settori le donne hanno esigenze differenti. Nel nostro ancora di più perché si tratta di un lavoro pericoloso e logorante”. Non a caso le donne che fanno questo mestiere negli anni sono calate: si è passati dalle 250 licenze in rosa del 2000 (su circa 5000) alle 190 del 2006. Ma lei no: non solo non ci pensa neppure a mollare, bensì rilancia, cercando nuove strade per vincere il disagio e ottenere strumenti per lavorare più serena. Le proposte per avere più sicurezza non mancano. “Innanzitutto – spiega Raffaella Piccinni –si potrebbe montare sul volante un dispositivo che, in caso di pericolo, invia un messaggio alla centrale di polizia”. Rumoroso e visibile funzionerebbe anche come deterrente. È già usato con successo a New York. In alternativa pensiamo all’uso di telecamere nell’abitacolo e nei posteggi taxi. Ma non basta. Ci batteremo anche per avere più flessibilità sull’obbligo di carico. Al momento possiamo decidere di non effettuare la corsa solo se il cliente è ubriaco”.
LE TASSISTE DICONO BASTA!
Sul volante, insieme al clacson anche il pulsante antistupro, un dispositivo collegato con la centrale di polizia più vicina. Accanto allo specchietto retrovisore una web-cam, in grado di trasmettere immagini in tempo reale. Questi gli strumenti che chiedono di installare sulle loro auto le tassiste italiane, da poco riunite in un’associazione. Obiettivo: garantire più sicurezza e dignità professionale alle donne che guidano auto pubbliche e che, solo a Roma, sono più di 400 contro un esercito di 7mila tassisti uomini. «Siamo doppiamente esposte al rischio di aggressioni rispetto ai colleghi» spiega Raffaella Piccinni, 33 anni, fondatrice dell’ADIT che oggi conta più di 200 iscritte. Partendo dal presupposto che «meno denaro circola in auto, minore è il rischio di rapine» le autiste chiedono anche agevolazioni per l’uso dei bancomat in vettura, un servizio che in Italia ha costi di gestione ancora molto alti.
I primi risultati arrivano da Milano: nei prossimi giorni le tassiste dell’ADIT saranno ricevute dal vicesindaco Riccardo De Corato che ha già annunciato lo stanziamento di un milione di euro per l’installazione di sistemi antirapina sulle auto bianche. Oltreoceano, dove questi dispositivi sono in uso da anni, le aggressioni sono diminuite ma i dati restano allarmanti: le tassiste di New York devono mettere in conto di essere violentate almeno una volta nell’arco della loro vita professionale.
Linate, il caldo si sente dal primo mattino, è un turbinio di facce di ogni genere e specie, quelle di chi sta perdendo l’aereo si mischiano a quelle stanche dei taxisti. Mi accorgo che sto pensando ai clienti; non a quelli che ora non salgono sul mio taxi ma a quelli che ci sono già saliti in passato, prima che tutto questo iniziasse. Ricordo di un pomeriggio estivo in cui esplose un violento temporale, ero sola nel mio taxi. La pioggia era così forte che i tergicristalli non servivano a nulla, scendeva a litri lungo i finestrini. Ho visto una signora di mezza età, grassottella e impacciata, indossava un abito da casa, fresco e leggero che la pioggia le lasciava aderire al corpo, sembrava una statua di Botero. Ho accostato, acceso le 4 frecce e dallo spiraglio del finestrino abbassato le ho urlato di salire. Eravamo a pochi metri ma urlavamo come pazze, lei si ostinava a non voler salire. Mi sono allungata verso la portiera del cliente spalancandola e ho urlato “è gratis”. È stato come se precipitasse nel mio taxi dall’alto, un enorme masso caduto a peso morto, gocciolava da ogni lato inzuppandomi il sedile. Il mascara le colava sugli occhi facendola sembrare un panda confuso e inzuppato. Infine fu lei ad insistere per pagarmi la corsa, quasi dovetti farci a pugni, se ne andò lasciandomi una pozzanghera.